La fascinazione comporta un agente fascinatore
e una vittima, e quando l’agente è configurato
in forma umana, la fascinazione si determina come malocchio,
cioè come influenza maligna che procede dallo sguardo invidioso...,
con varie sfumature che vanno dalla influenza più o meno involontaria
alla fattura deliberatamente ordita...
che può essere fattura a morte...
E. de Martino, Sud e Magia
Alcune persone hanno la capacità di trasmettere un influsso negativo ad altre, o anche ad animali.
Questo influsso può causare malesseri più o meno gravi, e può portare anche alla morte.
Tale influsso può prendere il nome, nella credenza popolare di: maleficio, o di malocchio, ma la distinzione non è netta e chiara.
Ci sono persone che possono esercitare tale potere in maniera involontaria, e si parla allora soprattutto di “malocchio”; altre invece lo esercitano con lo scopo di colpire, di nuocere, e qui ci si riferisce più esplicitamente al “maleficio”.
Quest’ultima sorta di maleficio può essere attivata, esercitata, anche attraverso delle pratiche, delle attività effettuate su oggetti o parti anatomiche della persona che si vuole colpire.
Il malocchio può essere trasmesso da persone gelose o invidiose, addirittura innamorate.
Può trattarsi di soggetti “cattivi”, in possesso di “vista più forte”, “potente”, di “occhio cattivo”, “occhio porcino”.
Una donna incinta potrebbe maldocchiare per “desiderio sessuale”.
Una madre può persino maldocchiare i propri figli.
Anche i preti sono dei potenziali maldocchiatori.
Si può acquisire questa capacità voltandosi a guardare l’altare mentre si esce dalla chiesa.
Si ritiene generalmente che la capacità di maldocchiare si acquisisca col tempo, soprattutto per l’influsso di entità maligne; entità quasi mai identificate, se non, banalmente, col “Diavolo”.
Ma vi sono evidenze che affermano invece che la “capacità maldocchiante”, un vero e proprio “spirito malefico”, si trasmette da persona a persona, per “contatto”, al momento della morte.
Esistono metodi ritenuti infallibili per identificare il “malefico”, la persona che ha inviato l’influsso.
Un racconto significativo, per spiegare il “maleficio”.
La bota
Alla Foce di Careggine (Toscana) un giorno due donne iniziarono a discutere tra loro;
in breve, la discussione degenerò e le due passarono alle mani, azzuffandosi.
I vicini accorsi riuscirono a fatica a dividerle, e le due si allontanarono maledicendosi.
Giunta a casa, una delle due donne si rese conto di avere tra le mani alcuni capelli dell’altra;
subito si ricordò di una delle pratiche malvagie di cui era a conoscenza, e non esitò a metterla in atto, tanta era ancora la sua rabbia.
Quando scese la sera uscì, catturò una bota (rospo) e attorcigliò ad una zampa dell’animale i capelli della rivale; poi la rimise in libertà.
Nel giro di pochi giorni l’altra donna cominciò a sentirsi male, e si aggravò rapidamente;
il medico non riusciva a farci niente, non capiva di quale malattia si trattasse;
la donna si struggeva come una candela.
La fattucchiera naturalmente fu felicissima di questo, tanto da arrivare al punto di lodarsene con dei conoscenti.
La voce si diffuse rapidamente, e praticamente tutto il paese fece pressione su di lei perché disfacesse la malìa.
Sia pure a malincuore, di fronte alle richieste della gente, ella cedette: cercò la bota, e una volta trovatala le sfilò i capelli dalla zampa e li gettò nel fuoco.
La malata si riprese, ed in capo a pochi giorni si ristabilì completamente.
Nel racconto emerge una credenza diffusa direi universalmente: la pericolosità del fatto di lasciare in giro parti appartenute al proprio organismo; può trattarsi di capelli, come in questo caso, ma lo stesso può dirsi di unghie, saliva, sangue, urina, ecc.
Il rischio conseguente è che qualcuno se ne impossessi e, tramite pratiche di vario genere, arrivi a colpire la persona. La consapevolezza della pericolosità di disperdere i propri capelli è emersa quasi in tutti i paesi oggetto di ricerca.
I “vecchi dicevano” che, quando ci si pettina, i capelli che si staccano devono essere bruciati.
Si dice anche che una volta le donne che si recavano in campagna per lavorare usavano pettinarsi (ad esempio mentre sorvegliavano le bestie al pascolo); nell’impossibilità di bruciare i capelli che rimanevano nel pettine, dovevano raccoglierli accuratamente e nasconderli dietro una pietra di un muro, oppure sotterrarli.
Uno dei metodi per eliminare il maleficio era la bollitura di un indumento appartenente al soggetto maldocchiato, o di capelli/peli appositamente a lui prelevati, è il metodo più conosciuto al fine di scoprire colei o colui che ha inviato il malocchio/la malìa e contestualmente invitarlo/costringerlo a sanare la persona o l’animale colpiti.
Vi è evidenza anche del fatto che gli oggetti messi a bollire devono essere mescolati con una forchetta, con un uncino o qualcosa di simile (oggetti quindi metallici ed acuminati), ed anche che nella pentola debba essere posto un crocifisso. La teoria generale della magia spiega agevolmente questa credenza: secondo il principio della magia malefica, chi il malocchio o la malìa lascia inevitabilmente qualcosa di sé sul soggetto colpito.
Conseguentemente, se viene praticata una qualche azione violenta su indumenti o parti anatomiche asportate dalla persona colpita (capelli, peli p.es.), questa va a riflettere su chi fa il maleficio, causandogli grandi sofferenze; se egli vuole che tali sofferenze abbiano termine, è allora obbligato a presentarsi e porre fine alla “fattura” pronunciando formule di benedizione.
Con amore
Carla
Liberamente tratto dal libro:
Magia e Stregoneria in Carfagna
Oscar Guidi
Ed. maria pacini fazzi editore
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sarò felicissima di conoscerti e di accoglierti
Tra qualche giorno uscirà il mio nuovo libro, per info
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